giovedì 26 giugno 2008

Non ho

Non ho più voglia di proteggermi, non ricordo cosa sia da preservare né da cosa debba essere difeso - voglio essere casa e rifugio e non fortezza da espugnare.
Non ho più desiderio di cercare chi sono negli occhi degli altri, né conferme o rassicurazioni – sono così come mi vedi, non c’è altro – e ritrovo me e le mie certezze nell’assenza di definizioni e nell’equilibrio fra forze una volta nemiche.
Non ho bisogno di uno strumento per realizzare i miei progetti ma mi piace avere compagni di strada.
Non ho voglia di fare qualcuno mio, ma di vedere il suo passo e il percorso che sceglie anche se diverge da quello che sto seguendo.
Non ho la convinzione che le mie qualità e i miei sentimenti e la mia gioia e capacità di amare dipendano da chi mi sta accanto e anzi ho voglia di fargliene dono.
Non desidero che qualcuno si prenda cura di me, semmai sono io ad aver voglia di prendermi cura.
Non ho intenzione di togliere escludere separare e allontanare né per rabbia né per presunto amore delusione od orgoglio ferito.
Non ho nemmeno intenzione però di inseguire chi va via, questa energia limpida e chiara che scorre in me come in tutte le cose è troppo preziosa per sprecarla così.

Da nessuna parte io sono qualcosa di qualcuno, e da nessuna parte c'è qualcosa che sia mio.

Buddha

tratta da Alejandro Jodorowsky - Cabaret Mistico - pag 89.

4 commenti:

Stefano ha detto...

La frase del Buddha, come sempre cosi' logica, soluzione alle sofferenze... Ma mai come ora mi sembra cosi' in controtendenza con l'istinto umano di piantare radici da qualche parte, di appartenere ad un luogo, di lasciare un segno. Forse io sono d'accordo con tante cose del buddismo, tranne che con la base :-), il distacco. Sicuramente penso che la mente, prima di lasciare lo scoglio dell'io a cui si aggrappa come una cozza, ne inventera' mille di teorie che sembrano plausibili ma sono solo delle coperture. E come si fa a sapere se si sta dicendo quello che si sente, e non teorizzando per convincersi? E l'accettazione di se stessi, come si mette con il distacco? Sto io ingombrante, che non si riesce a ridurre alla ragione, addirittura riuscire a buttarlo via...

Claudia ha detto...

Non credo che sia la mente a lasciare lo scoglio dell'io, ma piuttosto il nostro se' profondo a lasciare lo scoglio della mente col suo piccolo io, per trovare una dimensione piu' ampia.
Trovo la frase di Buddha profondamente illogica, se vista dalla parte della mente.

A me e' capitato in rari momenti di sentire questa cosa, riuscendo brevissimamente a non concettualizzarla, e poi a non trovarla piu'. Pero' il ricordo per un po' e' sufficiente a non demordere.

E non ho, in quei momenti, provato distacco, ma semmai un senso di partecipazione ancora piu' profondo, in cui non c'era piu' una vera separazione fra "io" e gli "altri", e quindi il concetto di "mio" perdeva di senso. In qualche modo questo si puo' vedere come distacco - perche' non c'e' piu' l'ansia di avere. Ma, in opposizione ad un distacco "vuoto", e' un distacco "pieno"...

Domanda molto pragmatica: ma chi lascia i commenti come fa a sapere che io ho risposto al commento? Boh!

Stefano ha detto...

Infatti non lo sa che rispondi, anche se e' abbonato al feed RSS...Mi chiedevo perche' tu non avessi risposto, e rivisitando il sito ho capito...
Mi chiedo se stavo confondendo due concetti, identita' e appartenenza. Cioe' puoi non sentirti nessuno in particolare, ma volere avere una casa dove ti aspettano..Insomma, essere una pecorella felice nel gregge, uguale a tutte le altre pecorelle (nessuna accezione negativa), oppure niente gregge, o un gregge vale l'altro? Comunque dopo la solita conversazione con mia madre, riscopro il desiderio del distacco ascetico, che e' superiore alla pazienza, perche' quella finisce :-)

Claudia ha detto...

Mi sono riappropriata del mio nome, ma son sempre io :)

Non riesco davvero a scindere identita' e appartenenza. La mia esperienza - che pero' ritrovo nelle parole di altri sulla stessa strada - e' che molto spesso il bisogno di trovare un "rifugio" a cui appartenere e' una conseguenza della frammentazione di se', del non trovare un proprio baricentro. Nei momenti in cui riusciamo a ricongiungerci con cio' che veramente siamo piu' in profondo (alcuni la chiamano "essenza"... :)) troviamo anche il rifugio che cercavamo. Una specie di casa interiore - a me piace di piu' immaginarlo come un giardino. O almeno cosi' mi sembra in quei momenti in cui mi trovo li'.